Teatro Palladium, Roma, venerdì 20 aprile 2018

Clamata Kardìa al Teatro Palladium a Roma
Clamata Kardìa

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“MESSAGGERO: Ah, Ippolito l’ha trovata, la fine sua, terribile!

TESEO: Ma io lo so, da tempo, io il padre, che mio figlio è scomparso;
e tu raccontala adesso la storia di questa morte.”

liberamente tratto da Fedra di Seneca

traduzione di Eduardo Sanguineti
riscrittura scenica: Alessandra De Luca
di e con: Maria Elena Curzi, Alessandra De Luca, Diana Morea
movimenti scenici: Maria Elena Curzi
assistenti alla regia: Simone Bobini, Emiliano De Magistris
contributi video e foto: Adriano Pucciarelli
disegno luci: Francesco Ciccone
promozione e comunicazione: Natale Pulito, Giorgio Nicotra

Sinossi e note di regia:
Il progetto teatrale “Clamata Kardìa” è una personale riscrittura scenica del monologo del Messaggero tratto dalla “Fedra” di Seneca. Il Messaggero è il personaggio della tragedia che ha il compito di cantare i fatti che hanno portato alla morte di Ippolito.

Questa parte del testo – le parole del Messaggero- rimanda al canto e al pianto che anticamente venivano praticati dalle prefiche dell’Italia meridionale, in occasione della morte di qualcuno. Le prefiche piangevano la morte del defunto e cantavano le gesta che aveva svolto in vita, così come le cantano di Ippolito il Messaggero e il coro nella tragedia tratta dal mito greco. Le prefiche salentine, in particolare, cantavano e piangevano il defunto in una lingua arcaica, il grico, che trae le sue radici proprio dallo stesso greco antico dei miti greci. Inevitabile il collegamento tra il canto del Messaggero e del coro e il canto delle prefiche: due elementi che si fondono in questo spettacolo.

Articolazione del progetto:

Attori e coro:
Un attore in scena narra le vicende che hanno portato alla morte di Ippolito accompagnato da un controcanto di un coro di donne impegnate nel rituale del lamento funebre.

Questione della lingua:
Quale lingua usare per mettere in scena tutto questo? L’italiano, il grico, o il dialetto salentino? Si è arrivati alla conclusione, di usarle tutte e tre: il grico permane nel “canto” vero e proprio, quello melodico, ritmato, lo stesso che intonavano le prefiche. Fondamentale per il recupero di questo canto è stato il film-documentario intitolato “STENDALÌ- suonano ancora” con le regia di Cecilia Mangini e i testi di Pierpaolo Pasolini, che ritrae le prefiche salentine intente nel rito. Il dialetto salentino, come tutti i dialetti, lingua dinamica e ritmica, è utilizzato quale trait d’union tra il canto e la narrazione vera e propria in prosa che il Messaggero fa, ma anche come lingua che più si avvicina all’emozione e all’anima e quindi indicata per i momenti di maggiore passione e tensione emotiva del racconto. L’italiano, infine, viene utilizzato come lingua della narrazione, comprensibile da tutti.

Movimenti scenici:
Come muoversi quando si canta un defunto? La risposta la danno le stesse prefiche che durante il rituale canto e pianto dei defunti eseguivano dei movimenti ripetitivi che portavano all’alienazione in un rapporto anche fisico con la morte e la dannazione che essa comporta.

Alienazione:
Come far mantenere al Messaggero la lucidità per portare avanti il racconto logico dei fatti che hanno portato alla morte di Ippolito, nei suoi dettagli, in un contesto in cui pianto, canto, movimenti ripetitivi, sembrano voler portare all’alienazione e alla stigmatizzazione della morte stessa? A questa domanda non c’è nessuna risposta, come è lecito che sia visto l’alone di mistero che ritroviamo oggi, come ieri e come sempre davanti a un avvenimento come la morte. Avvenimento che i Greci stessi, attraverso i loro rituali, ci insegnano a non trattare come tabù, ma come un elemento che fa parte della vita e con cui continuamente bisogna fare i conti e confrontarsi.

Venerdì 20 aprile 2018, ore 21.00

Teatro Palladium
Piazza Bartolomeo Romano,8
00154 Roma
Tel. +39.327.2463456
teatropalladium.uniroma3.it

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