Teatro Palladium, Roma, sabato 2 e domenica 3 dicembre 2017

Non è un paese per veggy al Teatro Palladium a Roma

Nell’ambito del 54° Festival di Nuova Consonanza
Non è un paese per veggy

Opera-panettone in un atto

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(da un’idea originale di Federico Capitoni e Domenico Turi)

Drammaturgia e libretto di Federico Capitoni
Musica di Domenico Turi

Non è un paese per Veggy, la prima opera-panettone della storia, spara su tutti. Sui vegani e sui non vegani, sui radical chic, sui finti intellettuali, sui cafoni, sui conformisti, sulle dinamiche impure del mondo dello spettacolo e della cultura.

Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale… Fino a un certo punto.

Ivano Capocciama regia
Imago Sonora Ensemble
Direttore Andrea Ceraso

Con:
Gianluca Bocchino Veggy, il regista
Giorgio Celenza Orfeo, il compositore
Damiana Mizzi Cecilia, il soprano
Luca Cervoni Santi, il direttore artistico
Chiara Osella Sofia, la giornalista
Mauro Borgioni Cav. Zampetti, il sindaco

Soggetto:
“Non è un paese per Veggy” è un’opera comica sulla difficoltà, tipica dell’Italia, di realizzare progetti di alto livello artistico o etico. In un teatro cittadino si cerca di mettere in scena un’opera che affronta i delicati temi dell’ambiente e della nutrizione. Ma una politica retrograda e prezzolata si oppone, facendo virare tutto il lavoro in un prodotto di livello basso e più facile da fruire.

La lettura dell’opera è stratificata. A un primo stadio c’è la comicità di un linguaggio che lambisce la volgarità, idioma comune all’intrattenimento popolare che riempie le sale cinematografiche e i teatri di prosa. A un livello più profondo c’è appunto la critica a un sistema che ostacola le produzioni impegnate facendo finire sempre tutto – come si dice – a “tarallucci e vino”.

Allo stesso tempo, però, si mettono alla berlina anche certi atteggiamenti “radical chic” che non sono dettati da un vero fervore intellettuale, bensì da un conformismo culturale: uno spettacolo nutrizionista che non convince in primis chi lo ha scritto; una musica che utilizza un’estetica in cui non si crede poi più di tanto… Insomma: la moda che prevale sui convincimenti morali e intellettuali. Infine, si mostrano anche certi meccanismi non proprio puliti e per nulla infrequenti nel mondo dello spettacolo.

Il titolo, parafrasi del film dei fratelli Coen, gioca con la parola “veggy”: nel gergo vegano è l’aggettivo attribuito a persone o cose che hanno a che fare col veganismo; nell’opera è il soprannome del regista che appunto ha abbracciato questo movimento e che, incompreso e sconfitto, sarà l’unico a capitolare.

Personaggi:

Orfeo, il compositore (viziato e radical chic, è il figlio del direttore artistico del teatro che rappresenterà la sua opera) – basso-baritono
Santi Netto, direttore artistico (uomo potente, ammanicato politicamente; pornomane) – basso-baritono
Cecilia Farnese, soprano (cantante di buona volontà, pronta a tutto) – soprano
Dott. Cav. Zampetti (sindaco della città, appartiene a una famiglia proprietaria di una storica fabbrica di salumi) – basso
Sofia Riccardi Rossi Farnese, giornalista (ricca nullafacente, MILF) – mezzosoprano
Claudio Diotallevi, detto Veggy, regista (giovane di cultura, dal forte senso etico e professionale) – tenore

Allo Snobe Theatre c’è l’ultima prova del melologo nutrizionista per soprano e orchestra “Zucchero di canna” (si va in scena il giorno dopo). Il compositore Orfeo Netto, figlio del direttore artistico, ha scritto una partitura raffinatissima e alla moda. Il regista radical-chic Diotallevi (chiamato Veggy dagli amici), vegano, ambientalista e animalista, è contentissimo dell’opera che tratta temi importanti, di impegno civile e sanitario. Entra il soprano. Non è Giulia Serbelloni – amica del regista, donna filiforme, scelta apposta per la parte -, bensì Cecilia Farnese, cantante formosa, subentrata alla Serbelloni all’ultimo momento, senza che Diotallevi sapesse niente. Irrompe così sul palco, adirato, il regista che esclama: “ma chi è questa? Quanto tofu si è mangiata?”. “Macché tofu, a me piace la porchetta!” – risponde lei. Il direttore-compositore cerca di calmarlo spiegandogli che la titolare è rimasta a casa per via di un calo di zuccheri. Riprendono dunque le prove.

Cecilia canta un’aria che denuncia la deforestazione causata dalle piantagioni di alberi da olio di palma, promulgando l’educazione alimentare e un consumo cosciente. Durante l’esecuzione entra il sindaco che si accomoda per sentire le prove. Terminata l’aria, tutti (ma non il regista) si complimentano con il soprano; il compositore le dà qualche suggerimento interpretativo. Ma il sindaco – che nel frattempo si era andato a complimentare con la cantante più per l’aspetto fisico che per altro – li guarda sospettosi: era convinto che lei si stesse scaldando la voce e quando capisce che quella è l’aria portante dell’opera, si altera, chiedendo spiegazioni dacché ciò che ha ascoltato non è di suo gradimento. Viene dunque a sapere l’argomento dell’opera e, infuriato, intima il direttore artistico di trovare una soluzione, pena la chiusura del teatro. Il sindaco è infatti il proprietario di una nota azienda alimentare che produce salumi e non esita a ricordarlo a tutta la compagnia. Se ne va sbattendo la porta.

Il regista vorrebbe suicidarsi, il soprano tira un sospiro di sollievo insieme a Orfeo, che invece di essere dispiaciuto, è finalmente sollevato dall’occuparsi di un argomento – quello della sana alimentazione – che in realtà non gli è mai interessato. Santi Netto non si perde d’animo e pensa già a una soluzione. Si mettono allora a improvvisare un’opera trash, “Così fan rutti. La grande abbuffata al castello”, con una musica e un libretto pecorecci, tra creazioni estemporanee, aleatorietà, stralci di repertorio e vecchie scenografie prese a caso nel sottoscala del teatro. Il regista sa che l’intera opera non può realizzarsi con il solo soprano e deve rimediare personaggi. Decide quindi di coinvolgere uno a uno tutti gli altri, dal compositore al direttore artistico, fino a entrare in scena lui stesso.

Durante il trambusto, arriva anche Sofia Riccardi Rossi Farnese, giornalista-milf, madre del soprano ex amante di Santi Netto. Ella non è affatto esperta di musica, ma si è conquistata “misteriosamente” potere e autorevolezza nel campo artistico e culturale, diventando una firma di riferimento. Chiacchiera con il direttore artistico per sapere come va la figlia, alla quale lo aveva raccomandato combinando tra l’altro un fidanzamento con il figlio Orfeo. Nel dialogo tutti gli apprezzamenti espressi da Santi Netto vengono intesi dalla giornalista come risultati artistici, mentre il direttore – che usa parole equivoche – si riferisce a ben altro (Cecilia in realtà è la sua amante).

La Farnese è molto divertita dal nuovo corso che l’opera ha preso e confessa che ciò che conta per lei è che la figlia abbia la massima visibilità. Gli invitati di rilievo verranno lo stesso alla prima, il suo articolo sulla serata è già pronto da giorni, le basterà cambiare il titolo dell’opera; del resto non ha mai speso una parola sui contenuti, ma solo sul glamour che circonda l’evento.

Intanto le prove sono un delirio. Serve la presenza di un altro personaggio femminile… Dentro allora anche la giornalista, che si fionda sul palco a capofitto (non vedeva l’ora di potersi esibire, era il suo sogno fin da piccola)!

Ecco che si configura un banchetto con a tavola, serviti dal regista: padre e figlio, madre e figlia. Intese, piedini, si riproduce sul palco ciò che in realtà è sempre stato anche fuori: la giornalista è l’amante del compositore, il soprano quella del direttore artistico. Sulla scena entra un enorme maiale di gommapiuma.

Il sindaco nel frattempo torna in teatro: «ma che state facendo? Rischiate il posto e pensate a mangiare?». Anche stavolta gli devono spiegare che si tratta dell’opera, quella nuova. La cosa conquista il sindaco che promette di premiarli il giorno successivo con un vero maiale, che porterà in teatro vivo.

Per Diotallevi questo è troppo, vede una carriera finita. Si ferma, depresso, accanto a una vecchia armatura dotata di ascia. Gli altri festeggiano, sicuri del successo imminente, stappano lo spumante; il tappo compie un giro iperbolico colpendo l’ascia imbracciata dall’armatura che secca il regista.

Sabato 2 dicembre 2017, ore 21.00
Domenica 3 dicembre 2017, ore 18.00

Teatro Palladium
Piazza Bartolomeo Romano,8
00154 Roma
Tel. +39.327.2463456
teatropalladium.uniroma3.it

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