Teatro Sociale, Mantova, Lunedì 28 Novembre, 2011

Il piacere dell'onestà, Pirandello, Leo Gullotta

di Luigi Pirandello

prodotto dal Teatro Eliseo

con Leo Gullotta

Assegnazione del premio Arlecchino d’Oro

e con Cloris Brosca, Martino Duane, Paolo Lorimer, Mirella Mazzeranghi, Antonio Fermi, Federico Mancini, Vincenzo Versari

scene e costumi Luigi Perego

musiche Germano Mazzocchetti

luci Valerio Tiberi

regia Fabio Grossi

Onestà, parola di grande effetto per il periodo in cui Pirandello concepì la sua opera, parola di lacerante contesto in questa nostra travagliata epoca, dove prodotti e momenti di vita vissuta vengono modificati in maniera cangiante e definente, sull’orlo di un dramma che si pone di fronte all’eterno aut-aut di una società alla ricerca di un’equa liceità.

Questa regia elimina tutti quei termini che oggigiorno risulterebbero obsoleti e poco rapportabili a una situazione di verità. Proprio questa verità, sarà il veicolo per comunicare quello che il pensiero pirandelliano ha voluto trasmettere nell’epoca del suo essere concepito.

Nella visione pirandelliana il nostro protagonista, nell’indossare il costume dell’Onesto, adotta il colore del diverso, in una fauna di anime mostruose, e la condotta morale del Baldovino diventa da questo momento inattaccabile e questi si chiude dentro la propria onestà sfidando convenzioni sociali ed egoismi personali.

Il suo arrivo in questa famiglia, composta da bei involucri senza contenuto, sarà stridente fin dalla prima scena. Una casa, questa, dove l’apparire conta molto più dell’essere, non a caso le sue pareti vivono della trasparenza atta a mostrarsi come si pensa che gli altri desiderino.

Una società, immutata nei tempi, da quelli passati a quelli odierni, che ha paura della diversità, perché essere onesti significa essere diversi, e che fa del tutto per annichilire l’elemento considerato spurio con tutti i mezzi, anche quelli più perversi.

Messo alle strette nella manovra estrema di farlo contravvenire alle proprie responsabilità, Angelo Baldovino continua a mantenere intatta la propria ‘maschera’ di uomo onesto, finendo così per mettere spietatamente a nudo la disonestà di tutti gli altri.

Una pseudo legittima unione, quella che Pirandello usa per dimostrare come l’essere e l’apparire siano in realtà categorie senza alcun valore, frutto unicamente delle convenzioni e del conformismo della società.

Come nel precedente lavoro del maestro agrigentino, affrontato con Gullotta, “l’Uomo, la Bestia e la Virtù”, l’uso ideale della maschera per far fronte alle perbenistiche convenzioni di una società, si ripropone con forza.

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