via per Lonate 88, Busto Arsizio (VA), Sabato 7 Aprile 2012

aperitivi-culturali

Continuano gli aperitivi culturali organizzati dalla Cooperativa Bontà EQUAlità Onlus e Slow Food provincia di Varese e dedicati alle specialità regionali italiane e ai Presìdi Slow Food:  dopo il successo dell’appuntamento dedicato alla Liguria, che ha visto la partecipazione di più di 120 persone, sabato 7 aprile alle ore 18 la nuova protagonista sarà la Campania.
Per l’occasione, al prezzo speciale di 7,00 euro (bevande escluse) si potrà gustare presso la bottega alimentare della cooperativa – in via per Lonate 88 a Busto Arsizio – un ricco buffet di specialità campane:
frittata di maccheroni, sartù di riso, mozzarella in carrozza, scarola imbottita, zucchine alla scapece, insalata di rinforzo, brioche rustica, pastiera napoletana, mozzarella di bufala campana DOP, pasta artigianale di Gragnano con colatura di alici tradizionale di Cetara (presidio Slow Food) o con pomodoro San Marzano (presidio Slow Food), cacioricotta del Cilento (presidio Slow Food), conciato romano (presidio Slow Food), soppressata di Gioi (presidio Slow Food), salsiccia rossa di Castelpoto (presidio Slow Food).

Non mancherà una selezione dei vini più significativi della Campania, rappresentati dalla storica e importante casa vinicola Mastroberardino, con le versioni classiche dei suoi Fiano di Avellino, Greco di Tufo, Falanghina
e Aglianico, che potranno essere degustati al costo di 2,00 euro a calice.

Questi aperitivi culturali aiutano la cooperativa Bontà EQUAlità a portare avanti le proprie attività in ambito sociale e sono un’ottima e rara occasione per conoscere, degustare e acquistare i presìdi Slow Food, alimenti tradizionali di alta qualità tutelati da Slow Food per i seguenti motivi:

– Sono prodotti a rischio di estinzione, per le difficoltà legate alla produzione o perché sono rimasti pochi produttori;

– Sono legati alla memoria e all’identità culturale di un luogo;

– Sono realizzati in quantità limitata, secondo pratiche tradizionali da aziende di piccole dimensioni;

– Sono prodotti di alta qualità organolettica, ma qualitativamente validi anche dal punto di vista ambientale e sociale.

Ulteriori informazioni su www.bontaequalita.it e www.slowfoodvarese.it

Slow Food provincia di Varese
Tel. 347 0685947

Di seguito si riporta una sintetica descrizione di ognuno dei Presìdi che sarà possibile degustare e acquistare.

Cacioricotta del Cilento

Fatta eccezione per il Cervati e l’altopiano degli Alburni, che offrono
ottimi pascoli per le mandrie di Podoliche, il Cilento è terra di capre.
Macchia mediterranea, arbusti, erbe cespitose, alberi bassi rappresentano il
nutrimento ideale per quest’animale rustico e vivace.

Le ottime qualità del pascolo e del tipo di allevamento delle capre si
rispecchiano nei formaggi prodotti, che si distinguono per la complessità
aromatica. Tra questi un posto particolare è occupato dal cacioricotta,
latticino la cui tecnica di lavorazione si ritrova anche in Puglia e
Basilicata. Il nome deriva dalla particolare tecnica di coagulazione del
latte, in parte presamica (caratteristica del formaggio o cacio) e in parte
termica (caratteristica della ricotta). È un formaggio che si può consumare
fresco (in insalata o con il miele), ma anche come cacio da grattugia. Dopo
una prolungata stagionatura infatti, diventa duro, compatto, scaglioso e
leggermente piccante: un accompagnamento ideale per i fusilli al ragù di
castrato, piatto tipico della zona.

Promuovere il cacioricotta significa offrire una valida alternativa
economica alla vendita del gregge, sovente l’unica scelta rimasta
all’allevatore cilentano.

La pastorizia nel Cilento, oltre a essere un’importante risorsa economica,
rappresenta un elemento caratteristico del paesaggio e l’unico valido
strumento naturale di difesa contro gli incendi boschivi. L’azione del
pascolo caprino, infatti, contribuisce a mantenere pulito e concimato il
sottobosco, con effetti benefici sullo sviluppo delle piante ad alto fusto e
sulla possibilità di controllare eventuali focolai.

Il presidio riunisce quattro allevatori e casari che hanno creduto e
investito in questa attività.

Colatura tradizionale di alici di Cetara

Pochi trasformati vantano una così nobile ascendenza quale la colatura di
alici: questo liquido ambrato, molto simile al garum romano, si ottiene dal
processo di maturazione delle alici sotto sale, seguendo un antico
procedimento tramandato di padre in figlio dai pescatori di Cetara e tuttora
praticato in molte famiglie del borgo costiero. Le acciughe, appena pescate,
sono decapitate ed eviscerate a mano e poi sistemate, a strati alterni di
sale ed alici, in un apposito contenitore in legno di rovere, il terzigno.
Completati gli strati, il contenitore viene coperto con un disco in legno,
sul quale si collocano dei pesi. Per effetto della pressatura e della
maturazione delle acciughe, un liquido comincia ad affiorare in superficie.
Raccolto progressivamente, viene conservato e sottoposto a un procedimento
naturale di conservazione con esposizione alla luce diretta del sole estivo.

Al termine del processo di maturazione delle alici (circa 4-5 mesi), tutto è
pronto per l’ultima fase: il liquido raccolto e conservato viene versato
nuovamente nel terzigno ove le acciughe erano rimaste in maturazione.
Attraversando lentamente i vari strati (di qui il termine colatura), ne
raccoglie il meglio delle caratteristiche organolettiche, fino a essere
recuperato attraverso un apposito foro praticato nella botticella e
trasferito in altro recipiente. Il risultato finale è un distillato limpido
dal forte colore ambrato e dal sapore deciso e corposo: un’eccezionale
riserva di sapidità che conserva intatto l’aroma della materia prima.

La colatura di alici è un condimento peculiare che può essere anche usato al
posto del sale per insaporire le verdure fresche o lessate (patate, scarole,
broccoli ecc.) e alcuni piatti di pesce.

Conciato romano

C’è chi sostiene che il Conciato Romano sia il più antico formaggio italiano
e che, a dispetto del nome, risalga addirittura alla civiltà sannitica. E in
effetti la tecnica di conservazione e di affinamento fa pensare a pratiche
antichissime, agli albori della civiltà agropastorale. Si produce coagulando
con caglio di capretto latte vaccino, ovino o caprino. Dopo essere pressate
con le mani, salate e asciugate, le formette sono “conciate”: una tecnica
prevede di lavare i formaggi con l’acqua di cottura delle pettole, una pasta
fatta in casa, un’altra vuole che si ricoprano le forme con un intingolo di
olio, aceto, piperna e peperoncino macinato. Al termine i formaggi vengono
stipati in un’anfora di terracotta.

Il Conciato è una sorta di formaggio resuscitato, che tradotto in termini
gastronomici significa forte riduzione olfattiva, sensazioni alcoliche e di
frutta matura al naso e grande personalità degustativa, che può arrivare
anche a una piccantezza molto pronunciata. Accostare tale formaggio a
preparazioni dolci può essere una buona idea: confetture di limoni, di
fichi, miele di castagno o di corbezzolo, cotognate piuttosto aromatiche.
Non funziona invece abbinarlo a frutta matura: i sentori si sovrappongono.

Il Conciato è un formaggio destinato a stagionature lunghissime, anni e
anni, ma oggi i pochissimi produttori tendono ad aprire le anfore dopo poco
tempo. Le sue caratteristiche organolettiche ricordano molto il formaggio di
fossa, anche se il Conciato ha maggior equilibrio e fragranza.

Il Presidio ha aiutato i produttori locali a riprendere la caseificazione e
l’affinamento in anfora del Conciato, impostando un disciplinare di
produzione che definisce le fasi di caseificazione e affinamento e
stabilisce una stagionatura di almeno 6 mesi.

Pomodoro San Marzano

Entrare in un campo di san marzano maturo è un’esperienza unica, si resta
come tramortiti dagli aromi che salgono dalla terra: profumi di erba appena
falciata e di spezie che questo pomodoro sprigiona già quando è verde.
Profumi antichi che riportano ai tempi in cui le insalate sapevano di
pomodoro e di sole e non erano strani oggetti immarcescibili, inodori e
insapori. Il territorio fertilissimo, a vocazione orticola, che si trova
principalmente intorno a Napoli, e nell’agro sarnese-nocerino in provincia
di Salerno, fino a vent’anni fa era coltivato quasi esclusivamente a San
Marzano: un pomodoro delicatissimo, dalla buccia sottile, che mantiene a
lungo il suo sapore anche con la conservazione, ma che va maneggiato con
cura. A causa della diffusione di alcune malattie e della scarsa
competitività in termini di costi di coltivazione, si diffusero ibridi
commerciali più produttivi, resistenti ad alcune malattie e idonei alla
meccanizzazione, ma con caratteristiche qualitative e organolettiche
nettamente inferiori.

Il pomodoro san marzano si raccoglie da luglio a settembre; appena raccolto
si deve sciacquare e sistemare nei barattoli, poi si fa cuocere 13 minuti.
Nient’altro: nessun additivo, nessun conservante. Si manterrà benissimo in
vasetto per almeno un anno. Ma è nel piatto che il san marzano rivela tutta
la sua personalità: il sugo ottenuto con questi pomodori resta letteralmente
attaccato alla pasta. E non trasmette acidità al cibo.

Il san marzano è uno degli ingredienti della autentica pizza napoletana (la
Margherita) e di una preparazione che a Napoli è un rito: il ragù.

Salsiccia rossa di Castelpoto

Il piccolo centro di Castelpoto si trova nella valle Caudina, alle pendici
del monte Taburno, nell’omonimo parco regionale e a circa 300 metri di
altitudine. Un paese rimasto isolato fino agli anni Cinquanta del ‘900,
condizione che consentì di conservare nel tempo usanze e tradizioni.

La salsiccia rossa rappresenta una delle peculiarità di Castelpoto, tra le
più rappresentative, tanto che il 25 aprile il paese le dedica una nota
fiera-mercato.

La lavorazione è particolarmente laboriosa e complessa. Si inizia
selezionando carni suine scelte (prosciutto, spalla), privandole di
nervature e grasso e macinandole in modo grossolano. Stessa operazione viene
effettuata con lardo e pancetta. I due ingredienti vengono mescolati tra
loro e addizionati di polvere di peperoncini – dolci o piccanti – coltivati
in loco, i “papauli” in dialetto locale.

A questi ingredienti si aggiungono un infuso di teste d’aglio in acqua, per
evitare che le carni si asciughino troppo, sale e finocchietto selvatico e
s’impasta nuovamente il tutto. Segue una fase di riposo e poi l’insaccatura
in budello naturale, pratica ancora oggi eseguita completamente a mano. Si
formano collane di piccole salsicce, dove ogni salsiccia ha un peso
variabile dai 100 ai 140 grammi.

La salsiccia viene riposta in locali naturali, dove stagiona sotto la
stretta e quotidiana vigilanza dei produttori dai 20 ai 50 giorni, secondo
il calibro e la pezzatura.

La modalità di consumo più comune è a fettine con un buon pane casereccio. A
Castelpoto si è soliti mangiarla anche fresca, cotta alla brace o come
condimento dei fusilli fatti a mano.

Soppressata di Gioi

Nel Compendio di agricoltura pratica edito nel 1835 si parla diffusamente
della soppressata di Gioi: si sottolinea l’antichità di questa produzione (i
primi cenni risalgono addirittura al XI secolo) e la singolarità della
tecnica. Infatti è l’unico salame campano lardellato, una tecnica che si
ritrova ad esempio in Abruzzo.

Si ricava soltanto dalle parti pregiate del suino: filetto, coscia, lombo e
spalla, accuratamente mondate di tutte le cartilagini e dei nervetti. La
carne è sminuzzata finemente, condita con sale, pepe e, in certi casi,
peperoncino e finocchietto. L’impasto, amalgamato con cura, deve riposare
per una decina di ore. Quindi si insacca nel budello naturale, inserendo al
centro un filetto di lardo lungo quanto il budello stesso. Inizia poi la
fase della stagionatura, che può essere preceduta da una leggera
affumicatura. La presenza del lardello, oltre che dare un tocco decorativo,
contribuisce a mantenere umido l’impasto nella fase di stagionatura che
tende a seccare un poco i salumi. La soppressata di Gioi ha la forma di una
pagnottella divisa in due e il colore rosso bruno, reso ancora più intenso
dal contrasto col bianco marmoreo del lardo intero. I profumi sono molto
intensi e aromatici: le note minerali e affumicate non devono prevalere sui
sentori speziati e muschiati. In bocca il gusto è lungo, ricco, con una
sfumatura finale di castagna.

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